sabato 31 luglio 2010

Udienza del 21 maggio 1999 - 1

Quella che segue è una sintesi dell'udienza del 21 maggio 1999 relativa al Processo d'appello per i delitti del "mostro di Firenze" davanti alla prima sezione della Corte d'Assise d'Appello di Firenze.

Segue dalla parte 26 del 20 maggio 1999
Avvocato Sigfrido Fenyes: - Come ebbe a dire il Pubblico Ministero nella sua prima requisitoria, la sua onestà intellettuale, della quale non abbiamo mai dubitato, lo portò a chiedere l'assoluzione di Giovanni Faggi poi in replica, come ricordava lo stesso signor Procuratore Generale, egli cambiò le sue conclusioni sulla base di un elemento non nuovo ma evidentemente preso in considerazione successivamente: un'agenda dell'imputato, un elemento che già in sede di discussione è stato chiarito e cioè si sosteneva che questa agenda potesse costituire un alibi e allora il Pubblico Ministero, l'alibi crolla e l'alibi che crolla è indizio di colpevolezza; l'argomento sul quale non mi soffermerò è stato già ampiamente trattato dal Procuratore Generale e comunque trovò immediato chiaramento già in sede di discussione e di questo si da atto in sentenza con un passaggio che ritengo assolutamente pacifico e sul quale non intendo soffermarvi ma dico questo perchè vi è un appello del Pubblico Ministero di primo grado, un appello nel quale si fanno valere a sostegno del medesimo nè più ne meno quelle stesse argomentazioni che furono svolte dal Pubblico Ministero nella sua prima requisitoria e che portarono il Pubblico Ministero a dire -Faggi deve essere assolto-. Perchè nell'atto di appello non si fa cenno a questo elemento, tra virgolette nuovo, che fu rappresentato alla prima Corte in sede di replica? Quindi questo appello, diciamo, desta a questa difesa qualche critica perchè in qualche modo incoerente con quelle che furono le conclusioni a suo tempo rassegnate sulla base degli elementi che il Pubblico Ministero possedeva e che sono nè più nè meno quelli che lui porta all'attenzione di questa seconda Corte con il suo atto di impugnazione. Gli stessi elementi che emergono oggi davanti a loro e che hanno portato il signor Procuratore Generale a chiedere la conferma della sentenza e quindi l'assoluzione di Giovanni Faggi. Cosa dice il Pubblico Ministero di primo grado? Vi dice: non potete, criticando la sentenza della prima corte d'assise, non potete credere a Lotti certe volte e altre volte non credergli, allorquando parla di Giovanni Faggi e mi preme citare un passaggio a carte 5 dell'appello, dal momento che il racconto, sempre di Lotti, è stato riconosciuto "assolutamente spontaneo genuino e ripetuto nel tempo e nelle varie fasi processuali senza alcuna modifica". Questo credo che tutto si possa dire tranne che il racconto di Lotti sia stato sempre genuino costante e spontaneo in tutte le fasi processuali, e questo addirittura nel nome e cognome di Giovanni Faggi, ricordo le parole del signor consigliere relatore "a malapena nome e cognome" è verbalizzato, "a malapena" e questo era un argomento che questa difesa aveva sviluppato in primo grado con un'impostazione che, direi, poteva essere quasi generosa nei confronti della pubblica accusa e cioè vogliamo dare anche per buono che il Lotti sia credibile? Non abbiamo elementi per poter dire che parli di Giovanni Faggi e qual'era il Lotti credibile? Sempre in questa impostazione generosa e forse anche un pò provocatoria? Bhe il Lotti credibile era preso quello dell'incidente probatorio, perchè un paletto a queste dichiarazioni doveva pur esser messo, il Lotti, ne avete avuto un esempio anche in questa fase processuale, modifica sempre le proprie dichiarazioni, accresce i particolari e che cosa diceva il Lotti nell'incidente probatorio? O meglio perchè il Lotti dell'incidente probatorio? Perchè quel Lotti rappresentava il culmine della sua progressione catartica in questa sua confessione in divenire, il Lotti maturo, il Lotti che consegnava al giudice finalmente la propria verità. Il Lotti dell'incidente probatorio a proposito di Giovanni Faggi disse circa il duplice omicidio di scopeti:
-"mi dissero che c'era un certo giovanni però il cognome non lo so"
-"e che cosa faceva di lavoro?"
"ah di lavoro non lo so"
-"E che macchina aveva?"
-"Mario mi ha detto che aveva un 131"
E a dibattimento il signor Lotti aggiunge un cognome ed un mestiere e dice "un certo Giovanni Faggi" dice "un certo rappresentante", e allora occorrerà però verificare se quello che lui aggiunge a dibattimento si concilia con quello che aveva sempre detto cioè con quello che aveva detto prima anche prima dell'incidente probatorio nella fase delle indagi preliminari e allora ricordo soltanto brevissimamente che cosa aveva detto il 26 di aprile 1996. A domanda del pubblico ministero, "Il cognome Faggi non mi dice nulla", e il 12 giugno 1996: "Vanni e Pacciani mi dissero che quel Giovanni lo conosceva che stava a Calenzano non mi dissero come l'avevano conosciuto nè che età avesse nè che mestiere facesse" ed allora l'invito di allora ed anche oggi fu alla cautela all'attenzione, a queste improvvise folgorazioni mnemoniche a questa verità a pezzetti ed allora se non si ha certezza nemmeno sul nome e sul cognome viene minato lo stesso indizio di base e parlo dell'omicidio degli Scopeti, cioè siamo sicuri che quella dichiarazione laconica: Giovanni, 131, presente agli Scopeti, fosse Giovanni Faggi? Siamo sicuri che parli di lui? Siamo sicuri che lui ci fosse? E il discorso potrebbe fermarsi qui perchè è la stessa dichiarazione indiziante che è minata ma miglior sorte non hanno i riscontri, e il primo riscontro invocato era quello di Pucci. Su Pucci io non mi soffermo, il mio pensiero è assolutamente identico a quello del signor proc gen cioè la valenza del riscontro pucci è uguale a zerop è un riscontro che avrebbe riscontro di mille riscontri. c'era l'altro riscontro ritenuto in un primo tempo importantissimo e cioè quello della 131, e una certa 131 fu effettivamente vista quella notte da testi che furono definiti qualificati, Taylor e Gracili. Una 131 che venne coniugata ad un auto posseduta dal Faggi che in qualche maniera poteva essere somigliante: un argenta, un argomento ritenuto dalla polizia giudiziaria, in sede di indagini preliminari, fortissimo che poteva coniugare la presenza di Faggi agli Scopeti, un auto evidentemente maledetta da Faggi perchè quest'auto lo condusse in carcere ma questo riscontro è stato assolutamente azzerato dall'istruttioria dibattimentale, è stata data la prova certa che Giovanni Faggi non abbia mai avuto un 131 è stata data la prova certa che questa Argenta il Giovanni Faggi l'ha posseduta dalla primavera del 1987 e qui richiamo solo brevissimamente le testimonianze Rezzi, fascicolo 80 dell'udienza del 16 gennaio 1998 il quale ricorda con precisione di aver venduto a Giovanni Faggi questa famosa Argenta grigio chiaro metallizzato, è un ricordo che si colloca precisamente nel tempo perchè suffragato da documenti  e in particolare dai documenti relativi all'acquisto della seconda macchina cioè della macchina successiva a quella dell'Argenta, dal parte del Rizzi, una Fiat uno e la ricostruzione cronologica della successione delle macchine possedute da Giovanni Faggi, un uomo, lo ricordo, che ha sempre posseduto una sola macchina per volta, maniacale nella cura della propria autovettura, che non prendeva auto in prestito e si è data la prova anche del possesso, nel 1985, da parte di Giovanni Faggi di una macchina assolutamente incompatibile con un 131o comunque con una macchina che ad essa potesse somigliare. Egli era proprietario e possedeva una Peugeot familiare 504 chiara, avorio, teste Azzini, carte 48, fascicolo 35, udienza 8 ottobre 1997 e che avesse il Peugeot e di questo anche la stessa sentenza da atto, vi è il conforto documentale dell'agenda perchè nell'agenda di Giovanni Faggi si annota, nel settembre 1985, il cambio dell'olio o comunque il chilometraggio della macchina Peugeot e allora più che parlare di un'assenza di riscontro direi che qui il dibattimento ha fatto emergere una prova certa, solare, in ordine al possesso di Giovanni Faggi di certe autovetture ed in ordine alla impraticabilità della tesi accusatoria circa il suo possesso di una 131 o di una macchina che ad essa potesse assomigliare. D'altra parte miglior fortuna non hanno nenmmeno quelle argomentazioni circa un eventuale ruolo svolto da Giovanni Faggi quella notte, non appare degna di pregio quella che diceva essere uno a cui gli "garbava guardare" perchè se effettivamente una macchina fu vista quella notte fu vista in una posizione da cui non si vedeva. Nè maggior pregio ha la tesi che lo voleva palo, loro sicuramente conosceranno quella piazzola, anche noi abbiamo fatto un sopralluogo, se un palo c'era e se credete al Lotti palo, un palo bastava ed avanzava, semmai, ma non si vede come un palo possa arrivare dopo e partire prima e d'altra parte ammesso e non concesso che si voglia credere al Lotti, Lotti seppe della presenza di un altra persona il giorno successivo, io credo che per quanto riguarda l'omicidio di Scopeti non debbano essere spese ulteriori parole, non abbiamo la benchè minima prova che Giancarlo Lotti parli di Faggi, non abbiamo la benchè minima prova che Giovanni Faggi fosse presente quella notte agli Scopeti anche a questa Corte chiediamo giustizia e che voglia confermare la sentenza di primo grado. grazie.

venerdì 30 luglio 2010

Celso Barbari

Pittore di origini bolognesi. Oggi vive a Lagaro in provincia di Bologna dove gestisce la sua galleria d'arte. Il 04 aprile 2001 rilasciò agli inquirenti le dichiarazioni che seguono.
"Ho conosciuto Pacciani Pietro dopo averlo visto in televisione. Era in corso il processo a suo carico e mi colpì molto come persona tant'è che lo dipinsi in croce e poi mi recai con questa croce davanti all'aula Bunker di Firenze. Da quel momento seguii la vicenda del Pacciani e intrattenni rapporti di amicizia con Suor Elisabetta e con l'investigatore Gagliardi e Cannella che si interessavano della difesa del Pacciani. Sono andato più volte, anche con la mia famiglia, a trovare Pacciani a casa sua portandogli qualche prodotto genuino del paese tipo qualche bottiglia di vino. Rimasi una sola volta a dormire a casa del Pacciani e ricordo che era il periodo in cui lo stesso prendeva le medicine per curarsi. Ricordo che, almeno così mi disse, seguiva le prescrizioni mediche che gli erano state date nell’ospedale dove era stato ricoverato e ricordo anche che su ogni confezione di medicine vi era annotata a biro, la posologia. Da quel che ricordo la calligrafia non mi sembrava quella di Pietro. Andai a trovare Pietro anche una volta in ospedale quando era ricoverato e ricordo che negli ultimi tempi lo vidi molto trasandato, nel senso che non si curava più e si era lasciato andare. Dopo la sua dimissione dall’ospedale di Ponte a Niccheri, Pietro era molto preoccupato: mi disse che riceveva minacce e che aveva molta paura. Fu per questo motivo che io gli regalai una segreteria telefonica di colore bianco perché lui potesse registrare le telefonate minacciose che riceveva. Circa le frequentazioni femminili e comunque contatti di Pietro con donne che si interessavano della sua vicenda, oltre a Suor Elisabetta, posso dire che vi era la nota Jessica Massaro, della quale lo stesso Pietro mi parlò dandomi in un occasione l’utenza cellulare della stessa perché intendevo contattarla. Non mi risulta che altre donne, anche non di origine toscana, ebbero avuto contatti telefonici con Pietro per la sua vicenda. A casa di Pacciani ho conosciuto gli investigatori Gagliardi e Cannella e con Gagliardi ho avuto frequenti contatti. Ricordo un episodio in cui non mi piacque il comportamento tenuto dal Pacciani. Eravamo nella piazza del paese e il Pacciani trattò male un uomo piuttosto minuto, piccolo che fa il pittore lì a Mercatale e che è anche molto bravo. Dicono che sia un grande artista ed ho visto i suoi quadri all’interno di un bar lì in piazza. Un giorno Pacciani tirò per il dito questo pittore ma in maniera così dura da avergli fatto male tanto che a me dispiacque e litigai con Pacciani. Pacciani contestava a questo artista il fatto che questi a suo dire lo controllava quando Pacciani stava vicino alle donne lì nella piazza dove abitavano le figlie di Pacciani. Sentii Pietro proprio il giorno prima del rinvenimento del suo cadavere. Lo sentii per telefono la sera e lui fu molto frettoloso nel liquidarmi dicendomi che da lui c’era un erborista. Tant’è che ebbi modo di udire Pietro che rivolgendosi a questa persona gli diceva: “E’ quel grullo del pitto…”. Chiudendo la comunicazione. Il giorno dopo in paese ebbi la notizia della sua morte. Riferii subito il contenuto di questa telefonata al Gagliardi pensando che poteva essere utile. Gagliardi mi disse che avevo fatto bene a telefonargli perché era una cosa importante."

giovedì 29 luglio 2010

mercoledì 28 luglio 2010

Franco Aversa

Medico presso l'ospedale di Monteluce a Perugia. Il 29 maggio 2002 dichiarò agli inquirenti: "Quel giorno e cioè l'8 ottobre 1985 vidi Francesco (Narducci n.d.r.) nel Piazzale d'ingresso del Policlinico. Posso affermare con certezza che l'orario in questione, verso le ore 13,30-14,00, coincideva con il cambio di guardia medica, turno che personalmente iniziai alle ore 14,00 circa. Francesco era uscito dall'Istituto e quando mi vide iniziammo a parlare, poi mi chiese se volessi accompagnarlo al lago a fare un giro in moto vista la bella giornata; mi pare che proprio davanti all?Istituto vi fosse parcheggiata la mia moto. Io, che indossavo la divisa prevista per la guardia medica, gli dissi che non potevo andare con lui perchè iniziavo il turno. Ricordo con certezza che mandai bonariamente a quel paese Francesco perchè pensavo volesse prendermi in giro atteso che iniziassi proprio allora a lavorare ed era evidente la mia impossibilità a seguirlo. Qualcuno... ci invitò a prendere un aperitivo al bar, cosa che avvenne. Francesco, dopo aver consumato assieme a noi la bevanda, mi salutò e si diresse verso il parcheggio di Monteluce dove di solito teneva la moto e la macchina."
Rif.1 - La strana morte del dr.Narducci pag.16

martedì 27 luglio 2010

Liberaci dal male

Autore: David A. Yallop  
Prima edizione: Pironti - 1987 - 306 pp - brossurato

Dalla presentazione dell'autore: "Nell'Inghilterra del Nord, negli anni in cui Peter Sutcliffe uccideva e mutilava, stampa, televisione e radio individuarono un nuovo prodotto vendibile, e lo chiamarono « lo Sventratore dello Yorkshire ». I tifosi del calcio cantavano: « Ce n'è solo uno di Sventratore dello Yorkshire », e la cosa mi irritava. Non potevo condividere simili spanventosi sentimenti. « Questi pluriassassini », scrissi, « sono come i pullman. Quando uno è passato, ne arriva un altro ». E ovvio che l'uomo che tutta l'Italia chiama « il Mostro di Firenze » è una persona del genere. Nel giugno 1980 il cosiddetto « Sventratore dello Yorkshire » stava uccidendo già da cinque anni. In quel periodo la polizia era convinta che l'uomo cui stava dando la caccia provenisse dall'Inghilterra nord-orientale, dalla zona di Newcastle. Io ero pervenuto a differenti conclusioni. Durante il mio colloquio con il funzionario di polizia incaricato delle indagini, mi fu richiesta un'opinione in proposito. « Penso », dissi, « che vi stiate sbagliando per quanto riguarda il nastro magnetico (un presunto messaggio dell'assassino). Penso che si tratti di una beffa. Non credo che l'uomo che state cercando sia di Newcastle o dintorni. È nato e cresciuto a Bradford. Credo che sia alto all'incirca 1,77. Capelli scuri, buona dentatura, ma con un piccolo vuoto nell'arcata superiore. Penso che il suo gruppo sanguigno sia il B. Penso che sia sposato, ma che non abbia figli, e che sia poco più che trentenne. Che lavori come camionista e viva con la moglie a Bradford ».
Sutcliffe venne arrestato ai primi di gennaio del 1981. Le mie ipotesi si rivelarono corrette fin nei dettagli. Se la polizia mi avesse consentito di accedere ai suoi archivi e avesse collaborato pienamente con me, Sutcliffe sarebbe stato preso nel giugno del 1980. Due donne sarebbero ancora vive. Altre due sarebbero state- risparmiate dalla furia dell'assassino. Non ho alcun dubbio che l'uomo che attualmente terrorizza Firenze possa essere catturato. Dico, anzi, che lo si sarebbe già dovuto catturare da tempo. Ha chiaramente commesso molti errori che avrebbero potuto essergli fatali. Tuttavia, mentre scrivo, egli è ancora libero di uccidere nuovamente. Nutro un profondo, duraturo affetto per l'Italia e la sua gente. Vorrei ricambiare in piccola parte i numerosi favori ricevuti mentre indagavo sull'assassinio di Papa Giovanni Paolo I. Se le autorità di governo e di polizia sono disposte a collaborare in pieno con me, sono pronto a venire a Firenze per indagare su questa serie di delitti impuniti che tormentano quella bella città fin dal 1968. Mi impegno a proseguire le indagini fino a quando quest'uomo, che i mass media italiani definiscono « il Mostrò », non sarà stato catturato."

lunedì 26 luglio 2010

Francesco De Fazio - Intervista su La Nazione - 11 settembre 1985

L'11 settembre 1985 il quotidiano La Nazione pubblicò l'intervista che segue al criminologo Francesco De Fazio.
Francesco De Fazio :(Relativamente all'impronta trovata a Scopeti) E' un'orma profonda lasciata probabilmente da qualcuno che sta facendo uno sforzo o trascinando un peso. Il tacco della scarpa che potrebbe essere quella dell'assassino, misura nove centimetri e probabilmente corrisponde a un numero 44, una misura grande per un uomo alto almeno un metro e 85. (...) Voi gionalisti dovete fare attenzione a quello che scrivete. Ricorderete che una volta un sessuologo descrisse il mostro come un mammone, uno che asporta il pube ma non il petto, simbolo materno. Ebbene, lui staccò subito il seno alla ragazza di Vicchio e la cosa si è ripetuta con la francese. Adegua anche la tecnica dei delitti alle circostanze ma lascia la sua firma perchè vuole essere riconosciuto. Abbiamo creato lo stereotipo del mostro e lui ci tiene. Del resto è normale: anche un ladro di galline, dopo 18 anni di galera dice di aver rapinato una banca.
Ma non c'è contraddizione fra questo esibizionismo e il comportamento di un uomo che a differenza di altri famosi criminali non si fa mai vivo e non manda messaggi ai giornali o alla polizia?
E' la sua singolarità. Proprio per questo potrebbe diventare un caso unico nella storia criminale.
E' vero che può non essere un gran tiratore?
Non sa sparare? Non dategli questa frustrazione. Del resto, da quando ha cominciato ad uccidere, ha migliorato la sua capacità di sparo. Non credo nemmeno che abbia avuto una pila. Lunedì sera mi sono reso conto che qui, al buio, ci si può vedere bene fino a due metri.
Il mostro sceglie le sue vittime?
No questo delitto lo dimostra in modo inequivocabile. Direi, invece, che sceglie il luogo, la situazione. Stavolta, poi, ha anche cercato di ritardare la scoperta dei corpi e lo ha fatto con freddezza e razionalità
Ha avuto problemi a uccidere?
Non è proibitivo ammazzare due persone, direi anzi che è facilissimo e semplicissimo.
Avrà avuto paura di essere scoperto quando ha visto il ragazzo uscire dalla tenda?
Non credo. E' facile inseguire un uomo nudo e scalzo.
Diceva che sceglie accuratamente il luogo dei delitti. Perchè?
Uno sprovveduto ucciderebbe in un anfratto, in un luogo chiuso. Lui no, vuole trovarsi sempre in una situazione dominante e soprattutto all'aperto, in modo da potersi dileguare, svanire nel nulla subito dopo aver colpito. Anche la decisione di nascondere i corpi è razionale: la piazzola è vicina alla strada e forse temeva che venissero scoperti troppo presto.
Rif. 1 - La Nazione - 11 settembre 1985 pag.1

sabato 24 luglio 2010

Udienza del 20 maggio 1999 - 27

Quella che segue è una sintesi dell'udienza del 20 maggio 1999 relativa al Processo d'appello per i delitti del "mostro di Firenze" davanti alla prima sezione della Corte d'Assise d'Appello di Firenze.

Segue dalla parte 26.
Avvocato Giampaolo Curandai: Vanni. Qualcosa su Vanni. Vedete, parlo sionceramente signor Presidente e signori della Corte, io vorrei tanto che Vanni fosse innocente perchè io quest'uomo lo guardo, lo osservo e mi fa, devo dire la verità, sembra un vecchio zio di campagna, remissivo, io vorrei tanto sbagliarmi, però io più vado a leggere questi atti e più mi rendo conto che non potrò mai avere la soddisfazione di saperlo innocente, perlomeno a livello di convincimento personale, intendiamoci, io ho già descritto un pò la personalità di Vanni, per quello che non ho detto mi riporto alle deregistrazioni del mio intervento di un anno fa, non è possibile, Vanni in primo luogo, io non voglio tornare su quella missione che Vanni ha fatto, cioè che Lotti gli parlò di Vicchio ma io credo che le peggiori prove vengano proprio dall'interno di Vanni, dalle dichiarazioni che lui ha fatto, perchè se noi andiamo a leggere l'interrogatorio di Vanni comincia subito malissimo. "Torsolo? Io mi chiamo di soprannome Torsolo? No, non è mica vero" comincia già subito a negare, il soprannome, lo sanno tutti che si chiama Torsolo e poi nega: - Il Lotti lo conosce? -  -Mha un pochino - Ma come? Hanno vissuto 25 anni nella stessa strada, compagni di merende eccetera... ...perchè? E poi quella chiusura finale: - non parlo più -  dopo quello scivolone su ciò che io chiamo una semi-confessione. Lasciamo stare Il Messaggero, durante una perquisizione in casa di Vanni fu trovato una vecchio articolo de Il Messaggero che parlava del mostro di firenze; Il Perugini ci dice: - in genere i mostri hanno la mania dei ritagli di giornale - ma lasciamo tutti questi sono episodi da romanzo giallo. Lasciamo stare il coltello, le due pietre, lasciamo stare tutto, però c'è un certo dottor De Fazio il quale ci dice che a Vicchio e anche a Giogoli uno dei correi doveva essere alto almeno 1e80, 1,85 sicuramente a Vicchio, c'è la famosa impronta del ginocchio. Vedasi perizia De Fazio. Questo l'aveva detto 10 anni fa De Fazio e non so quanto è alto Vanni ma se non è alto 1,80/81 ci manca poco. Poi tutte quelle lettere minatorie che il Vanni ha mandato dal carcere di Pisa, montagne di lettere minatorie in cui minaccia tutti, sono depositate in atti, sono centinaia, io le ho lette, quindi anche l'avvocato Filastò quando dice "tipo remissivo", "tipo mite", si, l'apparenza ma poi guardiamo la sostanza, chiediamolo un pò a sua moglie, l'episodio della moglie in cinta gettata per le scale, le paure di Vanni, ma insomma di che cosa doveva aver paura Vanni per andare presso l'armaiolo Nesi Aldo a comprare una pistola? Tanta paura da sbiancare di fronte al Nesi da dire: "abbiamo fatto cose brutte", "ci ho questa lettera di Pacciani dal carcere da portare alla moglie", ma insomma, vogliamo ignorare tutto questo nell'economia di questo processo? O vogliamo leggere soltanto una bella cornice con un quadro vuoto interno? Io dico che in questo processo non c'è soltanto la cornice, la personalità ma c'è anche un bel quadro interno probatorio, naturalmente fatto di tanti piccoli tasselli, un processo complesso, oceanico come spunti, come nozioni.
Sul patrimonio di Pacciani e di Vanni ha già parlato l'avvocato Pellegrini io dico soltanto che ci sono due cose che io non riesco a superare, il periodo di questi quattrini, '81/'85 e perchè erano distribuiti attraverso vari uffici postali. questo mi si dovrà spiegare se lo si riterrà apportuno.
A proposito della pistola. Vedete, diceva un mio vecchio maestro avvocato Franco Pacchi, una coincidenza può capitare a tutti nella vita, due coincidenze un pò di sfortuna, ma tre coincidenze cominciano ad essere un pò preoccupanti, a proposito di questa pistola, ora a parte il Mocarelli, Toscano, tutta questa storia che può essere valorizzata, non valorizzata, dipende, dipende da come la corte si avvicinerà a queste emergenze processuali, ma insomma c'è un Calamosca il quale viene a dirci che lui era in carcere con un certo Vinci, poi ucciso nell'agosto del 1992 e questo Vinci gli confessò che quella famosa pistola calibro 22 l'aveva usata lui in concorso con Mele nel delitto del 1968. Io chiederò in aula al Calamosca: "Ma lei l'ha vista questa pistola?", "No io non l'ho vista", eccetera, eccetera, "io so soltanto che il Vinci mi disse questo". Poi verrà fuori la storia che il Vinci aveva promesso al Mele di pagarlo se non lo avesse chiamato in correità per l'omicidio del '68, il Vinci non lo paga, il Mele vuole chiamare in correità il Vinci però saerebbe stato fermato da altri personaggi del carcere eccetera, eccetera. Sta di fatto che poi viene fuori un certo Sgangarella che è quello che è, che ci dice che in carcere aveva conosciuto sia il Vinci che il Pacciani e in un certo periodo entrambi fecero conoscenza in carcere e divennero amoci, questo prima degli ultimi delitti quelli dal '74 all'81. Da alcune testimonianze risulta la presenza di Vinci a San Casciano, c'è un episodio che racconta lo stesso Lotti quando girando in paese il Vanni gli disse: "Guarda quel Vinci lì, quello con la barba", poi è riconosciuto dal Lotti: "E' colui che noi abbiamo liberato uccidendo i due ragazzi di Giogoli", quindi insomma tutte queste coincidenze, poi troviamo questo proiettile nell'orto di Pacciani, e allora io mi chiedo: Calamosca ci parla di Vinci come il possessore della pistola, famosa calibro 22, il Vinci conosce il Pacciani, vedi Sgangarella, il Pacciani c'ha questo proiettile nell'orto, saranno coincidenze, io le buttò là come coincidenze, ma insomma io ho il dovere di sottoporre alla corte anche il vaglio di queste testimonianze. Diceva bene l'avvocato Saldarelli, noi siamo avvocati, quindi noi per primi dobbiamo conferire il giusto peso, il prudente apprezzamento delle emergenze processuali, certamente non sono prove schiaccianti queste, però c'è un proiettile nell'orto di Pacciani e ci sono queste amicizie...
Io per quanto riguarda il movente dico semplicemente questo, forse il movente resterà sempre coperto, si possono fare delle ipotesi, cioè un Pacciani che ha fatto più per soldi che per piacere, un Lotti che l'ha fatto per perversione, un Vanni che l'ha fatto per l'uno e per l'altro perchè anche la Bartalesi ci parla di tutti questi soldi, di queste cene che offriva il Vanni in quel periodo eccetera, eccetera, quindi si intrecciano più moventi, una cosa è certa il fatto è quello che è le emergenze processuali è quello che è, noi non possiamo pretendere da voi la formulazione di un movente, d'altra parte il movente serve per l'inizio delle indagini ma non per le conclusioni, non per la sentenza, che può benissimo prescindere dal movente. Giustamente il professor Voena citava alcune frasi dello scrittore turow, c'è stato un reato, nessuno può contestarlo, c'è stata una vittima, c'è stata sofferenza, voi non siete tenuti a dirci perchè è accaduto tutto questo, i moventi degli esseri umani, dopo tutto, possono restare chiusi per sempre dentro di loro ma voi dovete almeno cercare di accertare che cosa è accaduto e chi ha commesso questi reati, questo, basta questo, se non potrete farlo, noi non sapremo se quest'uomo merita di essere liberato o punito, non sapremo chi è il colpevole, se non possiamo scoprire la verità che speranza abbiamo di giustizia? Io direi questo, in questo paese purtroppo, come dicono i francesi, e lo dice anche mia moglie che è francese, "guarda caro Jean Paul che anche questo processo finirà a spaghettinì e mandolinì, come tanti altri processi", io invece sono convinto di vincere la scommessa con mia moglie perchè finalmente voi avete l'occasione, in questo processo, di mettere un punto fermo, si sa che la verità, lo diceva Turow, la verità completa non potremo mai saperla ma la verità processuale voi ce l'avete già in mano, non lasciatevela sfuggire è una grande occasione storica, altrimenti e qui ci sono anche delle vittime francesi fra l'altro, tutto finirà a tarallucci e vino a "spaghettì e mandolinì", mi auguro di no. Chiedo la conferma della sentenza di primo grado e rassegno le conclusioni. grazie.
Presidente: l'udienza a questo punto è rinviata a domani che ne abbiamo 21 alle ore 9.00
Segue...

venerdì 23 luglio 2010

Pietro Pacciani - Lettera alla Questura di Firenze

"Alla Questura di Firenze
Qui in carcere è arrivato una persona sospetta brutto come una scimpanzè con occhia da civetta che fissa per terra lo vista per delle ore nel cortile del passeggio. Si trova in toscana da quaranta anni e arrivato dalla Sicilia a dodici anni a 52 anni e conosce tutta la Toscana a girato tanto cosi a detta lui il mestiere che faceva non lo so e di barberino Val densa a sverginato la figlia a dodici anni nel pagliaio fino a venti anni la posseduta glia fatto fare due abborti il 26 di questo mese cia il processo. Si fa mantenere da una Signora Sposata che sta alla Sambuca gli manda sempre diversi soldi e la praticava, e il marito ne era a conoscenza, questa signora si chiama R.T., Via xxx, Sambuca V. pesa firenze questo tizio si chiama G.V. Sta vicino di casa al Vinci, cuello che parlavan tutti i giornali ricercato del mostro di firenze parlando delomicidia avvenuto aliscopeti del Mostro, a detto una grossa parola che diceva avvenuto nella roulote lui disse, Mache sotto una tenda l'altro di facevano allamore, lui disse mache, dormivano laltro disse facevano allamore"

giovedì 22 luglio 2010

Valeriano Raspollini

Originario di San Casciano Val di Pesa, organizzatore di esposizioni di arte moderna. Il 28 settembre 1985 dichiarò quanto segue agli ufficiali di Polizia Giudiziaria.

"Nel settembre 1985, subito dopo aver saputo dai giornali e dalla televisione che due giovani francesi, un uomo e una donna erano stati uccisi in via degli Scopeti dal "mostro di Firenze", ne parlai con la mia amica Sharon in quanto ella mi aveva accompagnato a casa proprio la sera di domenica 8 settembre, 1985, intorno alle ore 23 o poco dopo, al termine di una giornata passata in sua compagnia a trovare delle persone che abitavano in località Panicale di Perugia. Ricordo che cenammo là. La Sharon possedeva allora una Alfa Romeo Super modello Giulia. Voglio precisare che, pensandoci bene, ritengo che arrivammo a casa mia, più verso le 24 che verso le 23. Ritornando allo scambio di impressioni che io ebbi con Sharon subito dopo la notizia del delitto ricordo che ella era abbastanza turbata per un particolare che aveva notato dopo che mi aveva lasciato a casa e proseguiva da sola in auto lungo via degli Scopeti in direzione di Firenze, transitando per Spedaletto, Sant'Andrea in Percussina, Scopeti, nonchè per la probabile concomitanza di questo transito con un evento così cruento e drammatico. Mi spiegò infatti, che giunta all'altezza della piazzola del delitto aveva notato la strana manovra di una vettura bianca, a suo dire di media cilindrata, che proveniente dal viottolo sterrato che conduce alla piazzola, nell'immettersi sulla strada asfaltata, aveva improvvisamente spento i fari ed innestato la retromarcia con l'evidente intenzione di non farsi notare da chi stava sopraggiungendo, nella fattispecie dalla Sharon. Ricordo anche che la mia amica aveva avuto la netta impressione che a bordo della macchina vi fossero due o più persone. La sua prima impressione fu quella di pensare ad una coppia di amanti che non volevano essere riconosciuti. Rendendomi conto che il racconto di Sharon poteva avere forse qualche rilevanza per le indagini la consigliai vivamente a rendere testimonianza formale presso la Stazione dei Carabinieri di San Casciano, cosa che la donna fece effettivamente la sera del 10 settembre, dopo che io l'avevo invitata a cena a casa mia. Fui io stesso ad accompagnarla in caserma. Nella circostanza ricordo che il suo racconto non fu preso in grande considerazione dai verbalizzanti: l'impressione fu di incapacità a valutare rapidamente la consistenza di questa segnalazione."

mercoledì 21 luglio 2010

Michele Baratta


Dal febbraio 1985 al 1991 era stato fidanzato con Elisabetta Narducci, sorella di Francesco. Il 31 maggio 2002 dichiarò agli inquirenti quanto segue.
"Francesco non lo conoscevo bene perchè dopo poco tempo che frequentavo la famiglia avvenne la disgrazia; ricordo che Elisabetta era "innamorata" verso di lui, nel senso che era molto legata al fratello. Io ho incontrato Francesco sotto casa pochissimi giorni prima della sua scomparsa e mi sembrò normale ma fu un incontro fugace. Seppi della scomparsa di Francesco da Elisabetta perchè quella sera dovevamo vederci e non potemmo farlo per quel motivo. Nei giorni della scomparsa io ed Elisabetta ci sentivamo quotidianamente al telefono e quando fu ritrovato il cadavere fu come se Elisabetta si sentisse liberata da quella snervante attesa. Circa i rapporti tra Elisabetta e Francesca Spagnoli (moglie di Francesco Narducci n.d.r.), posso dire che Elisabetta odiava ferocemente Francesca, ed anche prima della scomparsa di Francesco i loro rapporti erano piuttosto freddi perchè Elisabetta soffriva per la mancata riuscita del matrimonio di Francesco. Dopo la sua morte Elisabetta se la prendeva con Francesca dicendo che era colpa sua perchè non gli aveva voluto mai bene. Ribadisco che una sera Elisabetta prese a calci e graffiò con una chiave la macchina di Francesca; ciò avvenne in Piazza Piccinino. Ricordo anche che alcuni mesi dopo la morte di Francesco, portai Elisabetta da un mio amico, tale Capitanucci Stefano che abitava all'Elce. Nel corso del nostro incontro Elisabetta volle farsi leggere le carte da Stefano e questi gli disse che bisognava liberare l'anima irrequieta di Francesco, implicato nei delitti del mostro di Firenze e che per far questo bisognava affidarsi a dei rituali magici, nel corso dei quali il venerdì, mi pare, di tre settimane consecutive bisognava bruciare, mi pare, dei chiodi di garofano o incenso o comunque spezie nella villa dei Narducci a San Feliciano. Mi sembra che il Capitanucci spiegò il motivo della scelta del luogo alludendo al fatto che era l'ultimo luogo che Narducci aveva visitato prima di morire. Accompagnai Elisabetta nella villa dove lei compì i rituali prescritti, sempre la sera dopo cena, all'insaputa dei genitori. Stando al buio lei metteva dei chiodi di garofano ed altre essenze, non esclusa la rosa canina, in una ciotolina che appoggiava a terra. Ricordo che quando il Capitanucci fece quelle allusioni al coinvolgimento di Francesco nelle vicende del cosiddetto mostro di Firenze, Elisabetta non fece strane reazioni e comunque non ebbe reazioni che mi sarei aspettato e cioè quella di chi insorge nei confronti di una affermazione calunniosa nei confronti di una persona cara. Io avrei reagito molto diversamente, tanto più che a quei tempi già si parlava di questo coinvolgimento di Francesco nelle vicende fiorentine."
 Rif.1 La strana morte del dr.Narducci pag. 49

martedì 20 luglio 2010

La sanguinosa storia dei serial killer

Autore: Andrea Accorsi - Massimo Centini
Prima edizione: Newton Compton Editori - 2008 - 428 pp - cartonato

Dalla presentazione: Negli ultimi anni, il fenomeno dei "serial killer'' è entrato nel nostro paese, facendo sì che prendessimo coscienza di una realtà creduta dominio quasi unico degli Stati Uniti. Invece anche in Italia i casi sono, e sono stati, numerosi, e non solo a partire dal XX secolo. Infatti le prime fonti che possediamo risalgono al XIX secolo, ma è certo che crimini del genere si sono verificati anche in un passato più lontano. In questo libro, gli autori offrono una dettagliata e ampia rassegna di casi che porta alla ribalta fatti spesso dimenticati, o sconosciuti alla maggioranza, come quello della "jena di San Giorgio", o del vampiro della Bergamasca'', o del "Landru del Tevere", per giungere a personaggi che dalla cronaca sono entrati nell'immaginario dl molti di noi. Basti ricorda Gino Girolimoni o la "saponificatrice di Correggio'' fino al famigerato " Mostro di Firenze". Il libro analizza inoltre tutti i casi che, fino ad oggi, hanno dato non poco filo da torcere agli investigatori e che hanno trovato ampia eco nei mass media: da Ludwig a Bilancia, da Minghella a Unabomber. I singoli personaggi e il loro modus operandi sono analizzati in modo da offrire il più elevato numero di spunti che permettano dl capire che cosa alimenti la furia omicida di un serial killer. Attraverso l'analisi dei singoli casi, si ha modo di scorgere quanto sia cambiato il metodo di approccio investigativo, che dalle più arcaiche teorie lombrosiane è giunto ad avvalersi dei più recenti e sofisticati sistemi di indagine. Il lettore troverà quindi, proposti cronologicamente, tutti i casi di serial killer italiani, che dall'Ottocento ad oggi hanno scritto con il sangue pagine oscure in cui la follia e la morte sono diventate protagoniste primarie.

lunedì 19 luglio 2010

Lorenzo Nesi - Intervista su La Nazione -

Il 30 dicembre 2004 il quotidiano La Nazione pubblicò l'intervista che segue a Lorenzo Nesi.
Lorenzo Nesi: Ora basta, quando vengo attaccato nella mia rettitudine ho il dovere di rispondere. Si parla di cose che mi fanno soffrire e che da 15 anni porto avanti nel segno della verità e dell'onestà. Non accetto di essere trattato così, denunciato da quell'avvocato...
Nino Filastò, il difensore diVanni.
Sì, lui. Può raccontare quello che vuole, ma non la verità. Quella la so io . E Mario.
E quale sarebbe, Nesi?
Ora gliela dico. Mi permette una rapida cronistoria?
Prego.
Pietro Pacciani non era un mio amico, lo conobbi perché era stato portato da delle monache, gli davo dei pezzi di maglieria della mia azienda. Diceva di essere un agnellino, ricorda?
Certo, a quei tempi sembrava che lo fossero tutti.
E invece io sapevo che lui aveva una pistola e così quando lessi che era indagato per i delitti, mi sentii in dovere di andare in procura.
Al processo di primo grado a Pacciani, lei disse di averlo visto in auto con un altro uomo la sera del duplice delitto agli Scopeti.
Ero sicuro di quello. Così partirono altre indagini.
Quelle sui compagni di merende...
Nessuno confessava, nè Vanni nè Lotti. Poi ci furono le intercettazioni...
Quali intercettazioni?
In un bar di San casciano: Pacciani, Vanni, Lotti e una donna, credo la Ghiribelli, parlavano dei delitti del mostro. Il processo d'appello fu una buffonata: assoluzione in tre giorni e quelle intercettazioni non vennero accettate. Poi la Cassazione annullò tutto all'ultimo momento, quando sembrava ormai che Pacciani dovesse essere assolto anche lì.
Pacciani, poi, morì.
Già l'agnellino...E Vanni? In tanti avevano detto che non c'entrava niente, ma io avevo parlato con lui già prima del primo processo e mi sembrava chiaro che sapesse molto. Ma tutti a dire 'ma no, ha solo paura...' E invece è vent'anni che sapeva e sa.
 A parlare con Vanni in carcere, chi...
No. Non mi ha mandato nessuno. Mi ha contattato un assistente sociale del carcere di Pisa perché è stato lui, Vanni, a voler parlare con me. E con me ha iniziato ad aprirsi. E se non c'era quella mano oscura...
Quale mano oscura?Io non lo so. Ma stia a sentire bene quel che le dico ora. L'ultima volta che ho incontrato Vanni in carcere mi disse queste testuali parole: 'Lorenzino, andiamo in procura, io dico tutto'.
Vanni? Ma era lucido?

Lucidissimo. Doveva esserci un incontro con gli investigatori: con me presente, lui avrebbe raccontato tutto.
E poi?
Da allora,  agosto 2003, i colloqui con Vanni si sono interrotti. Non sono più riuscito a incontrarlo. Si sarebbe potuti arrivare in fondo, alla verità ma tutto è stato bloccato.
Da chi?
 Non lo so. Una mano oscura ha fermato la procura, gli investigatori, me, Vanni. Tutti. Forse aspettano che Mario muoia, così la verità morirà con lui.
Quindi, Vanni sa.
 Nei primi incontri in carcere era reticente, poi si è sciolto. Io lo conosco, è un amico anche se lo denunciai. Lui sa. E per la prima volta ne ha parlato con Lorenzo Nesi.
Vanni ha anche detto di un nero, di Ulisse. Un altro presunto mostro.
Mai visto. Ma che i mostri fossero più d'uno io l'avevo detto prima dell' assise: mi fu detto che era uno solo.
Nesi, conosce Francesco Narducci?

Quel che so è contenuto nei verbali di polizia. Preferisco non dire altro.
Lei pensa che arriveremo mai a una fine?

Non lo so. Ma tutti gli investigatori lavorano molto bene e con grande sacrificio.
E quella mano oscura che avrebbe fermato Vanni?

Non lo so, gliel'ho detto. Io però mi ribello, per questo ho deciso di parlare con lei. E non è facile, mi creda. E' un rischio anche per me. Posso dire un'ultima cosa?
Dica.
Scriva che Lorenzo Nesi ha deciso di parlare in memoria di Renzo Rontini di cui ero amico e del quale ho visto la disperazione.
Rif.1 - La Nazione - 30 dicembre 2004 p.18

sabato 17 luglio 2010

Udienza del 20 maggio 1999 - 26

Quella che segue è una sintesi dell'udienza del 20 maggio 1999 relativa al Processo d'appello per i delitti del "mostro di Firenze" davanti alla prima sezione della Corte d'Assise d'Appello di Firenze.

Segue dalla parte 25.
Avvocato Curandai: Nesi Lorenzo, eccolo qua, fascicolazione 17/18. Il Nesi Lorenzo a un certo momento ci dice due cose che mi hanno impressionato e di cui voglio informare la corte. Il Nesi dice "quando Vanni sbiancò pensai che anche Vanni aveva fatto quei delitti, anche perchè nei vari discorsi sul Pacciani il Vanni mi aveva detto in quella occasione che con Pacciani aveva fatto cose brutte, cose che non vanno bene". Vogliamo ignorare anche questo? Ignoriamo anche questo. E poi c'è l'episodio di quando vanno, Nesi e Vanni in Questura:  "Ci fece vedere le fotografie dei due ragazzi di Scopeti, i corpi straziati, io non potevo vedere ero sconvolto, il Vanni rimase lì impeccabile e disse: - un son mica parenti miei - io come lettore di questo processo sono rimasto impressionato anche da queste testimionianze però rispetto coloro che invece riescono a superare tutto. Per quanto riguarda le testimonianze non si è parlato del dottor Perugini, che è il primo inquirente, quello della tesi del serial killer. Al dibattimento ha detto, a mio avviso, delle cose importanti, a parte lui dice che avevano tenuto sott'occhio anche il Lotti e il Vanni e di questo ho parlato all'inizio del mio intervento, dice che a un certo momento avevano scoperto una cosa molto interessante, dice - Ma come mai non c'è mai un testimone diretto o indiretto in questi numerosissimi delitti? - allora sospettarono fin da allora che vi fosse un palo, un palo che aveva evitato in ciascun delitto la presenza di un teste. Ci dirà poi fra l'altro che sicuramente il mostro potesse fare dei sopralluoghi in compagnia di una donna per non dare nell'occhio e allora mi viene in mente il Lotti con la Nicoletti a Vicchio, poi il dottor Perugini ci dice - io ho semprte usato un sistema anglosassone, io guardo la prova obbiettiva - mentre il metodo del dottor Giuttari è stato un metodo soggettivo, cioè partito dalla base, dalle testimonianze. Testimonianza trascurata finora ma io ne devo parlare di Ricci Walter, fascicolazione 20 pag 8/57. Questo sarebbe veramente da leggere ma non lo faccio. Ricci Walter disse - una volta il Vanni mi disse "Io c'ho paura del Pacciani perchè quando vado in macchina con lui c'ha quel pistolone in macchina" poi Santoni Paolo sulla presenza di Vanni a Vicchio ma non ricorda il periodo. Basta, fra i vari testimoni resta da fare qualche considerazione sul Pucci ed è una considerazione estremamente semplice che taglia la testa al toro. Pucci si contraddice sia prima del dibattimento ma soprattutto in dibattimento perchè vuole contraddirsi il Pucci, ha sempre avuto ed ha tutt'ora paura di essere coinvolto giuridicamente e processualmente in questi delitti e fa lo gnorri e fa finta di dimenticare, di non sapere e si fa leggere quello che aveva dichiarato prima ma andiamo a leggere le consulenze psichiatriche. Le consulenze psichiatriche ci dicono che il Pucci è una persona lucida, che sa quel che dice e sa quel che vuole e le consulenze psichiatriche, sempre a proposito di Lotti e Pucci, dicono che non sono due mitomani, perchè il pericolo di questi processi è la mitomania. Hanno una personalità nettamente contraria al mitomane perchè il mitomane è un logorroico, un logopatico uno che parla, parla, questi sono il contrario, per strappargli una parola ci vogliono le pinze, non sono mitomani, lo dicono due eminenti luminari della psichiatria professor Fornari e professor Lagazzi. A proposito poi degli Scopeti, qualcosa di preciso Pucci ci dice, a parte il confronto con Lotti, a parte le intercettazioni, ho visto poco, dice d'essere soprattutto teste derelato però ha visto il Vanni col coltello da cucina, ha visto il Pacciani con la pistola, ha visto il taglio dal basso verso l'alto, ha visto il motorino, quello stesso che ha visto anche la Carmignani lo stesso giorno, il giorno del delitto. La Carmignani dice d'aver visto un motorino, c'è una differenza tra la collocazione del motorino: la Carmignani lo colloca contro un muretto, non so dove, non lo ricordo, il Pucci lo colloca a ridosso di un albero, però tutti e due dicono che questo motorino c'era. Eppoi dice un'altra cosa dice il Pucci su precisa domanda, dice che lui era terrorizzato dal Pacciani tanto è vero che un suo amico gli disse - Andiamo a vedere il processo Pacciani? - quello di primo grado e lui gli disse - no, no, no, - e poi spiegherà che non ci voleva assolutamente andare, era terrorizzato, fascicolo 31 pag.21 dei verbali dibattimentali. C'è una specie di confronto tra Pucci e Vanni al dibattimento di primo grado, quando ad un certo momento, con estrema determinazione, il Pucci guardando in faccia il Vanni gli dice "...e tu c'eri e tu c'eri!". Per dare credibilità a Pucci sono sempre stati trascurati e non ne comprendo il motivo i parenti di Pucci, anche la sentenza di primo grado non ne parla, fatto gravissimo questo. Io credo che voi abbiate presenti questi testi, sono Fanfani... Valdemaro... Marisa Pucci, fra l'altro nella consulenza psichiatrica viene riportata una frase di Marisa Pucci che pesa in questo processo, che dice: - Sa, noi non volevamo fare del male a un amico di mio marito -  perchè il Pacciani è un amico del marito della Marisa Pucci. Ma cosa dicono? Dicono delle cose impressionanti! Dicono che il giorno, lo dice la signora Fanfani, la cognata, il fratello e la sorella di Pucci, perchè lui viveva con la sorella e era presente quel giorno anche la cognata, - noi abbiamo acceso il televisore si vedeva la notizia dell'assoluzione di Pacciani - siamo nel febbraio del 1996, e lui che aveva paura di Pacciani, a un certo punto la sorella lo vede come sbiancare e gli dice - Esce Pacciani? Ma come esce Pacciani? Io ho visto tutto, ho visto tutto e lì io ho visto tutto , so tutto di Scopeti -. Queste cose sono state riferite da tre galantuomini sotto giuramento al dibattimento di primo grado, di questo il procuratore generale non ne ha parlato. Io attribuisco grande importanza a questi tre testi perchè sono tre testi derelato e la loro è una testimonianza dettagliata, circostanziata in cui spiegono tutto, com'è venuto fuori questo "io ho visto tutto" e da lì poi ci saranno quegli interrogatori di Pucci, eccetera, eccetera. Quindi dico se la Marisa Pucci dice di essere amica di Pacciani, perlomeno il marito di lei era amico di Paccia, se per tanti anni non hanno detto nulla se alla fine si decidono di accusare, sia pure indirettamente un amico, un amico di famiglia, allora la loro testimonianza è ancora più significativa e attendibile.
Segue...

venerdì 16 luglio 2010

Renzo Rontini - Intervista su Il Tirreno - 26 marzo 1998

Il 26 marzo 1998 il quotidiano Il Tirreno pubblicò le dichiarazioni che seguono di Renzo Rontini, padre di Pia
Renzo Rontini: Oggi mi sento più forte perché dopo quattordici anni di lotta finalmente sono stati condannati quelli che hanno ammazzato la mia figliola. Però la battaglia non è finita perché non mi darò pace finché non saranno scoperti e condannati i mandanti.
Che cosa le suscitano Vanni e Lotti
Un sentimento di soddisfazione perché sono stati condannati. Finalmente posso tirare un sospiro di sollievo.
E' proprio convinto che siano stati loro ad ammazzare Pia? 
Sì, sono sicuro.
Se un giorno dovessero chiederle perdono glielo accorderà? 
No, no, no...
Perché? 
Preferisco morire piuttosto che perdonare chi ha ammazzato la mia figliola. Io sono credente ma se la Chiesa mi dovesse dire che Dio perdona gli assassini di Pia smetterei di credere.
E se nel processo di appello Vanni e Lotti dovessero venire assolti? 
Ah, vedremo. Sì, perché sono convinto che prima di quella data usciranno fuori nuove prove. Soprattutto spero che si scopriranno i mandanti, cioè coloro che hanno pagato gli assassini.
Si è fatta un'idea di chi possano essere i mandanti? 
Sì, però preferisco non dire nulla. Di sicuro abitano nella zona di San Casciano ed è gente benestante.
Dopo la sentenza quale è stato il suo primo pensiero? 
Non ho pensato ma pregato. Per Pia.
Ora che cosa farà? 
Continuerò a cercare tutta la verità. Finché non saranno condannati anche i mandanti le ripeto che non avrò pace.
Intanto la sua casa è all'asta, lei è senza lavoro... 
Vivo alla giornata. Miseramente. I miei averi accumulati dopo anni e anni di lavoro si stanno consumando tutti. Mi vede come sono ridotto? Però oggi io ho qualcosa che è più grande della casa, dei soldi e della salute: la giustizia. Per un uomo la giustizia è il valore più grande e io l'ho inseguita e continuerò a farlo a qualunque costo.
Rontini, lei ha 67 anni, una moglie, un'altra figlia, dei nipotini. Non le viene mai la voglia di pensare a loro, di ricominciare a vivere normalmente per quanto ciò sia possibile per un uomo a cui è stata uccisa una figlia? 
No. E sa perché? 
Me lo dica
Perché non c'è amore senza giustizia. Lottare perché sia resa giustizia a Pia è il gesto di amore più grande che io sento di dovere a mia moglie, all'altra mia figliola e ai miei nipoti.
Rif.1 - Il Tirreno - 26 marzo 1998 p.1
Vedi anche:
Renzo Rontini - Intervista su La Repubblica - 03 novembre 1994

giovedì 15 luglio 2010

Petra Weber


Cittadina tedesca, nel 1985 trascorse un periodo di villeggiatura a San Casciano. Il 12 settembre 1985 si presentò alla locale stazione dei carabinieri dove dichiarò quanto segue.
"La sera di domenica 8.09.1985, verso le 24.00 circa, mentre mi trovavo nel piazzaletto antistante all'abitazione del mio fidanzato (1km circa in linea d'aria dal luogo dove avvenne il duplice delitto di Scopeti ndr), intenta a giocare a carte, ho udito un rumore simile a quello di uno stappo di una bottiglia proveniente dal luogo ove si è verificato il delitto. Non sono in grado di precisare da che cosa sia stato provocato quel rumore per'altro molto tenuo. Non ho udito altri rumori di sorta, nè notai particolari che possano essere utili a quello che mi chiedete. Il rumore è stato avvertito anche dai miei genitori che si trovavano con me seduti allo stesso tavolo e che stamattina sono tornati in Germania. Mia madre, che più di tutti ha avvertito il rumore e che le è sembrato tipo scoppio provocato da arma da fuoco, dopo tale episodio non si è sentita a suo agio a sostare ulteriormente fuori dall'abitazione  nel piazzaletto, nonostante tutto rimaneva con noi sino alle ore 00.30 circa. Mia madre il pomeriggio del giorno successivo, dopo aver appreso la notizia circa l'uccisione di due giovani mi ha chiesto se ricordavo quel rumnore (tipo sparo) udito la sera precedente, chiedendo anche se nei dintorni vi potessero essere cacciatori."
Rif.1 - Compagni di sangue pag.39

mercoledì 14 luglio 2010

Daniela Seppoloni - Seconda parte

Segue dalla prima parte.
"Ricordo che il cadavere del Dr. Narducci non poteva essere spogliato perchè gli abiti erano del tutto attaccati ma i vigili recuperarono delle forbici e con questo attrezzo iniziammo a tagliare i vestiti, non completamente; ricordo che scoprimmo quasi tutto il braccio sinistro, una parte del braccio destro, parte del torace salvo le spalle, il collo e poi abbassammo leggermente i pantaloni verso il basso, poco sotto l'ombelico di circa un paio di centimetri perchè i pantaloni non andavano giù. Chiesi al vigile di girare il cadavere ed osservammo una parte della schiena fino alla vita, ma non la parte alta delle spalle; non ricordo se gli abiti furono tagliati o solamente alzati. Prima di rigirarlo, alzammo i pantaloni fino a dove era possibile, comunque sotto il ginocchio. Il colore era particolarmente violaceo, nel volto, nel collo e negli arti inferiori, in particolare nelle caviglie. Quando girammo il cadavere, uscì dalla bocca dello stesso del liquido acquoso, leggermente schiumoso, tinteggiato di un colore rosso cupo; il quantitative corrispondeva grosso modo a quello che ha una persona che abbia un conato di vomito. Io continuavo a ripetere che in quelle condizioni non potevo visionare tutte il corpo e tra l'altro il Vigile che tagliava i vestiti aveva difficoltà a compiere la sua operazione per via del gonfiore del corpo, per cui continuavo a ripetere che non era possibile fare una ispezione in quelle condizioni ma la persona in divisa insisteva, ribadendo l'urgenza di provvedere. Ricordo che il volto era tumefatto e violaceo, appariva gonfio edematoso... esaminai quindi la scatola cranica nella parte esterna, il volto, il collo ed il resto e notai che non vi erano lesioni o altri segni particolari... devo ammettere che non avevo esperienza di ispezioni cadaveriche e di redazione del relativo verbale... ...io dovevo limitarmi ad accertare la morte ma non le cause della stessa. Ricordo che il cadavere fu segnalato dai pescatori, ma non ricordo bene in proposito. Ricordo che c'erano voci che parlavano di una possibile presenza in acqua del Narducci perchè vi erano delle ricerche... Il verbale di riconoscimento di cadavere non è stato da me redatto. Il verbale fu redatto materialmente in un locale, credo della cooperativa dei pescatori di S. Arcangelo, dove mi recai assieme ai Carabinieri i quali provvidero a redigere il verbale che io firmai nella parte relativa alla ricognizione del cadavere, ma non ricordo che mi vennero fatte domande circa l'orario della morte od altro, anche perché non potevo stabilire l'orario della morte del Dr. Narducci ed escludo di avere detto che era morto da 110 ore perché non avevo un minimo di competenza per affermarlo· Voglio aggiungere che c'erano delle forti pressioni intorno a me perché più io allontanavo le persone, con l'ausilio dei Carabinieri, più la gente mi pressava anche all'interno del locale. Queste persone che premevano di più erano i colleghi del Dr. Narducci, in particolare il Prof. Morelli e il Dr. Ferroni 0 Farroni, unitamente al fratello del defunto; ricordo che queste persone protestavano continuamente contro quello che io stavo facendo, dicendo che era uno schifo e, mentre effettuavo l'ispezione del cadavere, dicevano che era una profanazione di cadavere ed una cosa immorale. La persona in divisa mi sollecitava a fare alla svelta. Non posso avere certificato che la morte risaliva a cento dieci ore prima e ricordo che redassi il certificato di morte, di mio pugno, nel quale mi limitavo a constatare la morte ed a formulare una probabile causa della stessa; anche sulla causa della morte vi furono identiche forti pressioni perché persone di cui ho parlato non volevano che la causa della morte fosse "probabile'' ma che certificassi senza quella riserva la morte per annegamento. Mi dicevano continuamente "è chiaro, non ci sono problemi, questo è morto annegato". Volevo scrivere anche che era assolutamente necessaria l'autopsia perché l'ispezione era del tutto carente ma a questo punto la pressione fu fortissima da parte del Dr. Morelli e del fratello del defunto. Anche i carabinieri si trovavano al centro di queste pressioni e ci sentivamo come accerchiati e costretti a concludere il tutto rapidamente, come ci si diceva. Ricordo che ci trovavamo in una stanza abbastanza piccola, con una vetrata da dove vedevo anche la persona in divisa e tante altre persone. Mi sono trovata intimidita psicologicamente e pur avendo insistito nello scrivere "verosimilmente" ho desistito dall'indicazione della necessità dell'autopsia. Ricordo che queste persone non erano assolutamente contente di quello che avevo fatto e venne anche il Dr Trippetti perché io continuavo a dire che necessitava l'autopsia ed egli fece leva soprattutto sul dolore dei familiari e sul loro desiderio di riavere il corpo quanto prima. A quel punto terminai l'operazione. Specifico che il certificato di accertamento di morte che mi viene mostrato non è quello che io redassi né tanto meno firmato. Nella firma che è apposta in calce riconosco quella della Dr.ssa Mencuccini Luciana, che non aveva partecipato alle operazioni... Fui costretta a fare l'ispezione in quel luogo. Ricordo che parlai con il responsabile dl medicina legale, Dr. Pietro Giorgi, al quale esternai le mie proteste e questi mi disse che avevo perfettamente ragione... Circolava la voce che il morto facesse uso di sostanze stupefacenti, verosimilmente eroina."
Rif.1 - La strana morte del dr.Narducci p.32

martedì 13 luglio 2010

Analisi criminologica dei delitti di Firenze

Autore: Giuseppe Cosco
Prima edizione: Edizioni La Biblioteca di Babele - 2002 - 42 pp - brossurato
Lo stesso testo è stato pubblicato, con la prefazione del vicequestore dott. Roberto Coppola, dirigente della Sezione di Polizia Giudiziaria di Catanzaro, sulla rivista Teologica (Edizioni Segno di Udine) n.36, di gennaio-febbraio 2002.

Dalla presentazione: "La vicenda del cosiddetto “mostro di Firenze” ha rappresentato e rappresenta tuttora il “caso” più intricato ed oscuro della storia giudiziaria italiana.
In circa 34 anni di indagini, si sono succedute ipotesi investigative di ogni genere le quali, in gran parte, sono servite solo a riempire di fascicoli e scartoffie gli uffici giudiziari fiorentini.
Investigatori ed indagatori di ogni estrazione e metodologia si sono affiancati, alternati, sovrapposti e contrapposti, giungendo con risultati spesso contrastanti, a difendere posizioni fortemente polemiche tra loro, con ovvie conseguenze sugli esiti delle indagini.
A ciò si è aggiunto uno stillicidio di rivelazioni, secondo alcuni sapientemente dosate nel tempo da un fantomatico ed occulto regista.
Le prime indagini fecero ipotizzare il killer come alto di statura e dalla mano precisa a tale punto da fare pensare ad un chirurgo.
Poi si finì per indagare un uomo dai caratteri opposti ovvero il tarchiato e rude contadino Pietro Pacciani, pregiudicato per violenza sessuale, che fu alla fine condannato come esecutore degli efferati omicidi e quindi “archiviato” come ideale interprete del personaggio “mostro di Firenze”, per come l’immaginario collettivo lo aveva concepito.
Pacciani poi morì, per alcuni, in un alone di mistero, non prima di avere ricollegato alla vicenda i suoi “compagni di merenda”, singolare locuzione per qualificare un gruppo di squallidi guardoni, usi al bere e per giunta mezzo omosessuali.
In seguito, “dulcis in fundo“, è sorta e poi tramontata l’ipotesi delle sempre ricorrenti frange deviate dei “servizi segreti”, si è giunti ad ipotizzare l’occulta partecipazione di personaggi “noti”, adepti di una misteriosa setta satanica.
In questo alternarsi di tesi sconfessate ed ipotesi spesso azzardate e prive di fondamento, non può non apprezzarsi l’intuizione di Giuseppe Cosco, tra i primi a proporre la pista esoterica in un’opera edita nel 1997.

Studioso di esoterismo, saggista, analista della scrittura, autore di numerosi e interessanti articoli, egli, in questo saggio intitolato “ANALISI CRIMINOLOGICA DEI DELITTI DI FIRENZE“, analizza in maniera fredda e ponderata l’annosa e tragica vicenda, suggerendo nuove e originali chiavi di lettura.
Particolare interesse suscita l’esame di circostanze ricorrenti, rilevate dall’autore con abile intuizione, che accomunano la vicenda fiorentina a quella -irrisolta- del più famoso Jack the Ripper (Lo squartatore) che ebbe il triste “merito” di essere, a suo modo, un protagonista dell’austera Inghilterra di fine ‘800.
L’ipotesi di Cosco è avvalorata da una peculiare simbologia a carattere esoterico che egli ravvisa dall’esame analitico del “modus operandi” seguito dall’autore dei singoli delitti.
Essa si fonde peraltro egregiamente con l’ipotesi, estremamente attuale, della cosiddetta pista “satanica” ovvero dell’attribuzione dei delitti a un’organizzazione qualificabile come “setta satanica”.
Come sempre, egli stupisce per la chiarezza e la competenza con cui affronta i più disparati argomenti, non lesinando, peraltro, copiose note bibliografiche sulle fonti consultate.
Mente estremamente versatile e abile conferenziere, l’autore colpisce con le sue riflessioni ponderate e le sue ipotesi spesso originali. Chi lo segue non può non rimanere avvinto dalle sue argomentazioni, estremamente logiche nel loro svolgimento.
Cosco tratta innumerevoli argomenti con deduzioni che, a volte, possono contrastare con il comune modo di pensare.
Di grande interesse i suoi articoli sulle “nuove religioni” e, in particolare, i suoi saggi sul fenomeno del satanismo, ripresi anche dalla stampa estera.
Tra l’altro, in essi, egli ipotizza inquietanti correlazioni tra misteriose congreghe sataniche e suicidi poco chiari verificatisi in Calabria negli ultimi anni.
Giuseppe Cosco svolge da anni opera peritale per l’Autorità Giudiziaria di Catanzaro e, quale consulente in materia di psicologia, analisi della scrittura e criminalistica, è di valido ausilio per diversi uffici di polizia giudiziaria del capoluogo, dei quali gode alta e peraltro meritata considerazione."

lunedì 12 luglio 2010

Natalino e Stefano Mele - Intervista su Panorama Mese - Gennaio 1986

Nel gennaio 1986 la rivista Panorama Mese pubblicò il colloquio che segue tra Stefano Mele ed il figlio Natalino che lo raggiunse a Ronco all'Adige dove stava scontando gli arresti domiciliari.

Natalino Mele: Babbo, non devi aver paura. Io quella notte non ti ho visto. Non ho visto nessuno. Se io avessi visto il mostro, da tempo mi avrebbe fatto fuori.
Stefano Mele: Non potevi avermi visto, perché io non c'ero.
NM: E perché hai confessato?
SM: Io ero il marito. I carabinieri, i tuoi zii, tutti in paese erano convinti che ero stato io a uccidere la mamma. Negli interrogatori mi hanno picchiato. Alla fine riescono sempre a farti dire quello che vogliono.
NM: Ma perchè hai accusato i Vinci e gli altri amanti della mamma?
SM: Perché mi hanno fatto un grande male. Alla fine erano diventati prepotenti. Pestavano me, la Barbara e qualche volta anche te. Il Francesco minacciava di morte tua madre.
NM: Ma tu non lo hai visto ucciderla?
SM: No, non l'ho visto.
NM: Dunque non devi accusarlo.
SM: Ma sono convinto che siano stati loro ad ucciderla
NM: Basta babbo! Se non li hai visti, non puoi saperlo. Non devi continuare ad accusare gente perché a te hanno fatto del male. E poi, perché hai accusato gli zii Giovanni e Piero?
SM: È stato il giudice Rotella a farmelo dire. Mi ha fatto confondere. Anche quest'ultima volta che mi ha tenuto in galera, ha tentato di farmi dire altre cose. Per convincermi a parlare, mi ha detto che tu eri morto. Che il tuo cadavere era stato trovato nei boschi. Che il mostro ti aveva ucciso. E che tutto questo era colpa mia, perché non parlavo. Ma io di Rotella non ho più paura. Non ho più paura di nessuno. Alla fine di quest'anno, quando finirò di scontare la condanna per calunnia e tornerò finalmente libero, due cose voglio fare: trovarmi un bravo avvocato che si interessi al mio caso e faccia causa allo Stato per il male che mi ha fatto; e poi fare un viaggio all' estero . Voglio andare in Francia, in pellegrinaggio a Lourdes.
Rif.1 - Panorama Mese - Gennaio 1986 p.81

sabato 10 luglio 2010

Udienza del 20 maggio 1999 - 25

Quella che segue è una sintesi dell'udienza del 20 maggio 1999 relativa al Processo d'appello per i delitti del "mostro di Firenze" davanti alla prima sezione della Corte d'Assise d'Appello di Firenze.

Segue dalla parte 24.
Avvocato Curandai: Io sono d'accordo con il procuratore genrale di non dare troppa importanza alle prime reticenze di Lotti, quando nasconde la 128 rossa; vorrei precisare che Lotti non parla della 128 rossa quando ancora non aveva confessato, quando si difendeva, ecco che questo silenzio appare sicuramente strumentale. Ritengo che anche le dichiarazioni di Lotti in sede di rinnovazione dibattimentale siano stae coerenti con quello che aveva già dichiarato sulla disponibilità, non sul premio assicurativo.
In primo grado io dedicai un capitolo importante a spiegare anche il perchè di certe imprecisioni di Lotti e rinvio a quello, che è stato deregistrato a pag. 1/89 del fascicolo n.93 in atti, quindi non voglio tornare su questo punto. Vorrei invece porre a questo punto una considerazione molto semplice che appartiene un pò all'uomo della strada, scusate ma in questi processi ci vuole anche molta prudenza e anche molto buon senso. Ma se il Lotti fosse stato preciso, coerente su tutto ma che impressione avremmo avuto noi? Io, personalmente, che il teste era governato dalla polizia, dagli inquirenti, io ho sempre detto e lo sostengo anche davanti alle signorie vostre illustrissime che l'attendibilità di Lotti viene soprattutto dalle sue imprecisioni e da certe imprecisioni e da certi apparenti incoerenze, perchè il Lotti è quello che è, ha difficoltà espressive, perchè sono cose lontane nel tempo, addirittura noi in udienza non ricordavamo certe verbalizzazioni e abbiamo dovuto chiedere le registrazioni, eppure eravamo lì sul momento. Oggi, o meglio ieri, il signor procuratore generale mi diceva - le consulenze psichiatriche non possono essere utilizzate - ma scusate signori, io credo che non vi è assolutamente niente di più infondato e bene ha fatto l'illustrissimo giudice relatore a leggere quelle consulenze psichiatriche perchè non sarebbero utilizzabili se i consulenti non fossero venuti qui al dibattimento di primo grado a deporre ma il professor Fornari e il professor Lagazzi si sono presentati davanti alla corte di assise, si sono sotttoposti all'esame e controesame e al termine hanno prodotto le consulenze, quindi queste sono utilizzabili. Facciamo una cosa se non sono utilizzabili le consulenze sono utilizzabili i verbali del dibattimento, su questo punto non c'è altra soluzione. A proposito di queste consulenze io vorrei informare la corte, se ve ne fosse bisogno, che a un certo momento il Lotti viene sottoposto a dei test psichiatrici da parte del professor Fornari e c'è l'esito di un test che è veramente sorprendente. A pag. 29 della consulenza: "egli nella tavola 15 che cosa vede?" perchè ci sono dei disegni e il paziente deve interpretarli, "tavola 15 identificazione di una figura che guarda", "tavola 17 identificazione di un uomo nudo che fugge" a me è venuto subito in mente il ragazzo francese, "tavola 13 negazione della componente violenta" e infatti in tutti questi delitti non vi è stupro, violenza carnale, questo io lo riferisco come dato di contorno che può tuttavia assumere un certo rilievo nell'esame della personalità di Lotti Giancarlo. Qual'è stato il lavoro importante che ha fatto il professor Fornari? Innanzitutto ha descritto la figura astratta del mostro di firenze e poi da ultimo ha detto che la personalità di Lotti è compatibile con la figura astratta del mostro di Firenze. Per il professor Fornari infatti il mostro di Firenze è una persona connotata da iposessualità o da difficoltà nel rapporto con il sesso femminile, da gravi problematiche personologiche eppoi da ultimo dice sostanzialmente che la personalità di Lotti è compatibile con la dinamica di questi delitti. E Vanni? Io ho sostenuto e sostengo tuttora che queste caratteristiche di iposessualità avversione e difficoltà verso il sesso feminile, anomalie personologiche, sono sovrapponibili anche a Vanni perchè dalle testimonianze di Ghiribelli e Nesi, risulta che anche Vanni ha una componente di perversione, risulta chiaramente. La Ghiribelli e il Nesi ci parlano di quel famoso vibratore, eccetera, eccetera, non ne voglio parlare è fatto notorio ma il Nesi parla anche di un episodio per cui egli un giorno chiese a Vanni -Ma tu che cos'hai in quella busta? C'ho dei peli di ... di pube - per usare un eufemismo - Quindi il Vanni andava in giro con un vibratore e con una busta con dei peli di pube. Il Vanni ha una iposessualità, il Vanni ha una avversione verso il sesso femminile. Io mi sono sgolato, spolmonato per dimostrare in primo grado l'episodio di quando Vanni prende e getta la moglie in cinta giù per le scale, la moglie in cinta! Questo è un episodio che io ho dimostrato per tabulas, mi riporto alla replica pag.62 eccetera, fascicolazione n.110. Non dico altro su questo punto. Quindi quando si parla di angioletti: pacciani col santino, il buon padre di famiglia, lo zio, eccetera questa è l'apparenza ma dietro c'è qualcosa di diverso, di molto diverso e qui sta la mostruosità della loro personalità. Avversione verso la coppia felice, che in quel momento sta godendo ciò che essi non possono raggiungere, iposessualità, ecco a cosa può portare l'eccesso di iposessualità. Per quanto riguarda le personalità di questi personaggi io ho terminato mi resta soltanto il capitolo relativo agli altri elementi di prova, l'articolo 192 non parla di indizi, parla di elementi di prova, tra questi elementi non solo ci sono le perizie medico legali, le consulenze, eccetera, eccetera ma ci sono anche le testimonianze, l'esame e le testimonianze, è un mezzo di prova e allora mi sembra che finora non siano stati citati e io li citerò molto brevemente. Alcuni testi che a mio avviso hanno un loro rilievo servono a completare il quadro probatorio. dunque non è stata sufficientemente citata la Bartalesi Alessandra, fascicolo 24 pagine 45/58, la Bartalesi Alessandra, il procuratore generale vi ha parlato della relazione fra la stessa e il Vanni (il Lotti ndr), è il Vanni che la presenta a Lotti e la Bartalesi Alessandra ci dice - Mha io quando stavo con Lotti lui mi portava sempre a visitare Baccaiano, gli Scopeti - a parte le sue considerazioni sulle prestazioni sessuali che erano purtroppo zero, poi dice che un giorno gli avrebbe detto - quando sei con me stai tranquilla che non c'è pericolo del mostro di Firenze - queste sono dichiarazioni non dell'avvocato Curandai ma dichiarazioni rese sotto giuramento da un teste, da un mezzo di prova di questo processo. Poi la Bartalesi parla di quella famosa lettera minatoria che ha coinvolto l'avvocato Corsi, dal Pacciani al Vanni, io non ne parlo, ve ne faccio venia eccetera eccetera. Butini. fasc. 25 pag.65/89. Il Butini ci racconta un episodio importante sotto certi aspetti. Dice che ci fu una famosa litigata davanti al bar dello sport di San Casciano fra Lotti e Vanni e a un certo momento il Lotti disse a Vanni - Se mi metto a parlare tu stai più fermo - parole testuali. E sono le stesse parole che ha messo in bocca al Lotti anche la Bartalesi. Quando il Lotti dice - Te un tu mi vuoi dare i soldi? Ci penso io - Se in questo processo non ci fossero le confessioni le chiamate in correità, queste sarebbero testimonianze aventi valore zero però vanno valutate alla luce di tutti gli altri elementi. La Cencin dice che il Vanni, quando andava da lei, gli portava tutte le riviste pornografiche, sorvoliamo su questo punto. Nesi aldo è un venditore di armi di San Casciano, foglio 14 pag.36/43 vogliamo ignorare anche un teste come questo? Il quale dice che il Vanni impaurito, visibilmente impaurito andò lì per comprare una pistola? Vogliamo negare anche questa testimonianza? Di che cosa aveva paura il Vanni? Ecco che allora qui si innesta la lettera di Pacciani al Vanni di cui parla il Nesi, perchè il Nesi una volta accompagnò il Vanni dalla moglie di Pacciani e il Vanni lì ci aveva questa lettera ed era tutto impaurito. Lo vedremo.
Segue...

venerdì 9 luglio 2010

Ruggero Perugini

E' nato a Roma il 2 settembre del 1946. Dopo l'università fece parte del corpo dei Carabinieri e nel 1975 entrò in Polizia. Specializzatosi a Modena in criminologia clinica e perfezionatosi all'Accademia di Quantico in Virginia, diresse la squadra antimostro dal 1986 al 1992. Fu coadiuvato nel suo lavoro dal maresciallo Pietro Frillici e dall'appuntato Antonello Scanu. Il 4 febbraio 1992 la trasmissione televisiva Detto tra noi, in diretta da Vicchio, trasmise un appello del dott. Perugini al Mostro di Firenze: "Io non so perchè, ma ho la sensazione che tu in questo momento mi stia guardando e allora ascolta. La gente qui ti chiama mostro, maniaco, belva ma in questi anni credo di aver imparato a conoscerti, forse anche a capirti e so che tu sei soltanto il povero schiavo in realtà di un incubo di tanti anni fa che ti domina, ma tu non sei pazzo come la gente dice, la tua fantasia, i tuoi sogni ti hanno preso la mano e governano il tuo agire. So anche che in questo momento probabilmente ogni tanto cerchi di combatterli, vorremmo che tu credessi che noi vogliamo aiutarti a farlo. Io so che il passato ti ha insegnato il sospetto, la diffidenza, ma in questo momento non ti sto mentendo e non ti mentirò neanche dopo se e quando ti deciderai a liberarti di questo mostro che ti tiranneggia. Tu sai come, quando e dove trovarmi, io aspetterò."
Dal 27 aprile all'8 maggio 1992 ebbe luogo presso l'orto e l'abitazione di Pietro Pacciani una maxi perquisizione; alle ore 17,45 del 29 aprile il Dott. Perugini rinvenne una cartuccia per pistola calibro 22 long rifle, con impressa sul fondello la lettera "H", inesplosa e recante segni di un precedente inceppamento. Ha vissuto a Washington dove ha svolto la funzione di ufficiale di collegamento tra l'FBI e la DIA. Nel luglio del 1994 pubblicò con Mondadori Un uomo abbastanza normale dove "racconta una storia investigativa eccezionale: il primo grande caso di serial killer italiano seguito dall'interno, in un territorio inquietante, sempre pericolosamente in bilico tra la normalità e l'anormalità, tra il desiderio di allontanare da sè il mostruoso e la necessità di calarsi nella mente sconvolgente del colpevole".
Fu sentito durante il processo a Pietro Pacciani il 23 maggio ed il 13 e 15 giugno del 1994. Fu nuovamente sentito durante il processo a Mario Vanni e Giancarlo Lotti il 16 gennaio 1998.
Rif.1 - La leggenda del vampa p.178
Vedi anche:
-Ruggero Perugini - Intervista su La Repubblica - 17 gennaio 1993

-Ruggero Perugini - Intervista su La Nazione - 15 luglio 1992

-Ruggero Perugini - Deposizione del 23 maggio 1994
-Ruggero Perugini - Deposizione del 13 giugno 1994 
-Ruggero Perugini - Deposizione del 15 giugno 1994 

giovedì 8 luglio 2010

Giancarlo Lotti - Verbale di informazioni testimoniali - 19 luglio 1990

Il 19 luglio 1990, presso la Questura di Firenze, Giancarlo Lotti rese le dichiarazioni che seguono.
"All'incirca nel 1978, ma non ricordo bene, ho conosciuto Pacciani Pietro. Non ricordo come avvenne la nostra conoscenza e non ricordo il luogo dove l'ho conosciuto, di preciso non ricordo se fu una conoscenza spontanea oppure mi fu presentato da qualcuno. Con il Pacciani Pietro e Mario vanni, già postino di S.Casciano, frequentavamo la Cantinetta. Con loro mi vedevo un paio di volte la settimana, perlopiù la domenica. Noi tre ci intrattenevamo nella cantinetta a parlare del più e del meno e qualche volta andavamo fuori San Casciano con la mia macchina oppure con quella del Pacciani che all'epoca aveva una Fiat 500. In genere andavamo alla Sambuca a fare merenda la sera ovvero nel primo pomeriggio.
Io non frequentavo assiduamente il Pacciani, ovvero ero sempre disposto quando lo incontravo a stare insieme a lui ma il Pacciani frequentava molto di più il Mario Vanni con il quale usciva la sera anche dopo pranzo.
Non so dove andavano ilMario Vanni ed il Pacciani perchè a me non raccontavano dove andavano.
Non so se il Pacciani frequentasse donne insieme al Mario Vanni o da solo.
Non sono a conoscenza delle abitudini sessuali del Pacciani. Io sono andato a donne con Vanni Mario, a pagamento a Firenze in Via della Scala. Con il Pacciani non sono mai andato a donne.
Pur essendo amici non ho mai avuto confidenze da Mario o dal Pacciani in merito a loro avventure con donne sia di carattere sentimentale che avventure mercenarie.
Non ho mai visto riviste pornografiche in possesso al Pacciani o al Mario.
Io sono andato qualche volta a casa di Mario Vanni a cena. Il Mario ha la moglie ammalata di nervi.
Il Mario Vanni veniva a casa mia ed io gli offrivo un bicchiere di vino. Il Pacciani non è mai venuto a casa mia.
Il Pacciani quando beveva diventava litigioso ed iroso. Ricordo che una volta nella cantinetta a San Casciano aveva fatto a botte con S.M. per motivi di gioco a carte.
Vanni Mario è soprannominato "torsolo" non so per quale motivo. Io sono soprannominato "Zampino" perchè è il soprannome della mia famiglia. Non conosco soprannomi del Pacciani.
Conosco di vista una persona che frequentava il Pacciani. Questa persona era un uomo alto 1,80 circa, grosso di corporatura, vestiva in modo elegante, veniva a San Casciano con un Volkswagen Maggiolino di colore rosso, non conosco il suo nome e non so dove abita. Questa persona si appartava a parlare con il Pacciani, non so di cosa parlassero, certe volte andavano via in macchina. Vanni Mario conosceva questa persona e qualche volta andavano via tutti e tre in macchina. Non so se il Pacciani avesse armi. Non mi ha mai raccontato di aver cacciato animali.
Ho saputo dell'arresto di Pacciani per aver abusato delle figlie da Vanni Mario. Il Vanni me lo disse in modo molto sterile e non commentammo il fatto."